lunedì 6 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 15








La gatta più gentile che ho conosciuto si chiamava Lady. Nome che lei prendeva molto sul serio. Era uno dei tanti gatti di Franca e Dino. Ma lei si distingueva dagli altri felini. Aveva un modo tutto suo per tenere d'occhio la casa. Quando ci sedevamo nel salotto, se ne andava per i fatti suoi. Tornava non appena capiva che stavamo andando via, e ci accompagnava fino alla porta e poi usciva per mettersi su un muretto a osservarci. Mi chiedevo sempre se lo facesse per salutarci o accertarsi della nostra partenza.


L'alba mancata. Insieme a Salvo e Angela. Eravamo stati a casa di Dino, forse un capodanno o un'altra di queste occasioni. Salvo mi dice:
Vieni a casa mia. Ci facciamo una cannetta e aspettiamo il sorgere del sole. Dai, Salvatò.”Non ci si deve sforzare troppo per farmi cadere in tentazione. Dissi di sì. Continuammo a bere, non ricordo se tequila o vodka. Ma bevemmo. La canna fu solo la prima di una serie. Si stava un po' dentro un po' fuori. Poi Angela sparì per rifugiarsi a letto. Salvo ed io parlavamo del più del meno. Musica, politica, animali, fumetti, piante grasse. Passammo il tempo così finché non si fece giorno. Solo allora Salvo si ricordò. Casa sua era vicino ad una montagna e sole, da lì, non si sarebbe visto prima delle nove.



Il divano letto. Che divano non era, ma nemmeno un vero letto. Un mobilaccio in faesite ricoperto con una lamina di finto legno di noce. Un modo per occultare i letti, travestendoli da libreria. Ho dormito per diversi anni su uno dei due lettini. Nel sessantotto, dormivo in uno di questi cosi. Era gennaio. I miei erano andati a trovare mia sorella in America e non erano ancora tornati. In casa erano rimasti Pino, mia zia Concetta ed io. Durante la notte, mentre ero a letto, mi sentii cullare. Pensavo fosse un sogno. Abitavamo a pianterreno. La scossa durò parecchio. Mia zia si era già alzata e una volta accesa la luce aveva visto il lampadario che oscillava. Contrariamente a quanto mi aspettavo, non urlò. Anzi, il suo tono era basso. Disse:
U terremotu! Chiama a Pino!”
Lui, Pino, dormiva profondamente. Ci volle molto per svegliarlo del tutto mentre la zia Concetta si preparava a portarci fuori. Faticammo parecchio prima di riuscire a fargli capire cosa stesse succedendo.
Ah, u terremotu. E un pozzu ristari a dormiri?”
Trascinarlo fuori dal letto fu un'impresa. Spintonandolo per farlo uscire di casa mentre lui avrebbe voluto continuare a dormire.


Il panificio Benigni. Era il forno più vicino a casa. Parlo del periodo in cui la televisione in tutto il palazzo l'avevamo solo noi e i Russo. Il signor Russo era un uomo molto interessante. Viveva con la moglie e due figlie. Abitavano al primo piano. Un tempo, quando l'unico televisore del palazzo era quello della famiglia Russo, andavamo da loro per seguire eventi importanti. Poi la televisione entrò anche in casa nostra, e toccò a noi invitare qualche vicino a vedere Studio Uno. Di solito davanti a un caffè. Per per gli adulti, ovviamente.
Tornando a bomba... il panificio Benigni: era a gestione familiare. Solo la commessa non era della famiglia. Il pane era solo di farina 00. Il rimacinato non esisteva. La scelta era fra torcigliato a birra o forte. E poi mafalda, piziato, parigino... Allora il pane si vendeva a peso, e se con i pani interi non si raggiungeva quello stabilito, la commessa aggiungeva quella che veniva chiamata la iunta... l'aggiunta. Noi compravamo tre chili di pane a sera. Era un pacco enorme, per me bambino. Spesso la iunta me la facevo dare a parte e la mangiavo per strada. Ma la cosa più bella era rompere u cozzu a un torcigliato dopo aver bucato la carta che avvolgeva il pane.

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