domenica 12 maggio 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 18




Cinque anni di analisi di gruppo, con un consistente lavoro dentro di me. Anche osservando gli altri componenti del gruppo. Si entra in terapia, di solito, per una profonda ferita nell'anima, ancora aperta e sanguinante. Spesso si tende a pensare che sarà cancellata. Non funziona così. La ferita resterà sempre lì. Rimarginata, non più sanguinante. Solo una cicatrice, ma sarà lì. Ogni tanto può dare fastidio. Non sparirà del tutto. Sarà sempre lì.

Mio zio Agostino, chiamato da molti u monaco. Da piccolo per devozione, vestirono il bimbo con un abito monastico. Da lì il sopranome che gli rimase per tutta la vita. Lavorava presso le ferrovie svizzere. Tornava a casa due, tre volte l'anno. Portava dei regali anche a noi bambini. Una macchinina di latta, riproduzione di un'auto di lusso. La scimietta alla quale si dava la corda e suonava i piatti. Il gattino con una pallina fra le zampe che correva e poi girava su se stesso. Tutti giocattoli portati per noi, ma con i quali potemmo giocare pochissimo. La loro inevitabile fine era quella di essere esposti in una vetrinetta come oggetti da collezione.

Ci avevano presentati come se non ci conoscessimo. Anche se qualche particolare lo avevo dimenticato, la nostra conoscenza era più profonda di quanto io pensassi. Avevamo scelto di vederci una sera davanti a una birra. Lui giocava con me, perché aveva più memoria. Io lo trovavo affascinante e non riuscivo a staccare i miei occhi dal suo viso. Ricordavo come il destino giocò con noi, per non farci incontrare. Per diversi anni. Lui si divertiva con i vuoti nella mia memoria. Contraddicendo ciò che io sostenevo. La serata fu deludente. Trattato da giocattolo. Al quale si può anche chiedere:
Ma tu avresti intenzione di venire a letto con me?”
In verità, sì”
Te lo puoi scordare. Non succederà mai.”
Si può dire di no.
Si può rifiutare.
E' il modo che uccide.

Chiusi il volume. Fissai il soffitto senza certezze. L'uomo nell'alto castello, di Philiph Dick.
Mi chiedevo cosa fosse falso e cosa fosse reale. Mi sentii come se fra me e quello che i miei occhi vedevano là fuori c'era una forma di distanza. Tutto poteva aveva la caratteristica del vero e nello stesso tempo poteva essere falso. Nessuna versione era più convincente dell'altra. Se non sono impazzito allora, non impazzirò più.

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