domenica 28 aprile 2013

Edificio 17A - Cose che ricordo del passato 11






Lo sciopero della fame. Fatto contro una legge sulle droghe. Soprattutto contro l'idea di equiparare consumatore e spacciatore. Lo facemmo in piazza Duomo a Milano, durante il servizio civile. Dormendo in una tenda montata da noi nella piazza. Per tre giorni digiunai dormendo su una brandina. Una volta bastava questo a farci sentire vivi.

Anarchici. Andavamo a tirare pietre al vento in montagna. Poi stanchi ci riposavamo in un rifugio alpino. Bevendo e cantando, insieme a molti presenti, canzoni socialiste e anarchiche. Ritornando un po' brilli dai monti a Pisa. In città invece si sparse la voce che nel gruppo anarchico fosse nata una frazione armata.
Noi non smentivamo nulla. Preferivamo lasciarli alle loro fantasie.

Tobia. Il cane che viveva con il cappellano del carcere minorile di Milano. Tobia era un barboncino, ma di taglia insolita. In continua ricerca di cibo e di gambe sulle quali sfogare il suo istinto sessuale. Un cane buonissimo per il resto. Amava giocare fuori dal carcere in mezzo all'erbaccia. Alcuni ragazzi ospiti una sera hanno voluto provare. Gli hanno voluto far inalare il fumo di una canna. Per vedere l'effetto su Tobia. Per vederlo poi semplicemente barcollare leggermente. Mettersi nella propria cuccia e guardarci con gli occhi a pampinedda.

L'ago e il filo li presi dalla scatola dove erano conservati i materiali per cucire. Avevo sei, forse otto anni. Preparavo un vestitino per una piccola bambolina. Avevo trovato la stoffa, mi serviva l'ago e il cotone. Scelsi il colore del filo. Quello che più si avvcinava a quello del pezzo di stoffa del vestitino. Mi sarebbero serviti anche dei bottoni automatici, ma non li trovai. Presi l'unico ago nella scatola e mi misi a sedere sulle scale del piano di sotto. Mentre ero sul più bello del gioco, mia zia Concetta cominciò a chiamarmi. Aveva una voce dal tono acuto. Spesso esaggerava e urlava in modo tale che diventava una sirena. Non si capiva quello che diceva. Si sentiva un urlo che cercava di modulare delle parola. Visto che i vari urli non suscitavano alcuna mia risposta, mi minacciò di tirarmi il bastone con il quale passava lo straccio. La minaccia si trasformò presto in promessa e poi in atto reale. Al pronto soccorso mi diedero dei punti in testa. Io avevo ragione, lei torto. Volli allora sfidare il primo dolore. Mi ripromisi di sopportarlo in silenzio. Durante la cucitura dei tre punti in testa. 

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