mercoledì 23 giugno 2010

Fra Zanardi, Bukowsky ed Eliseo





Stanno riparando il bagno di casa. Il pavimento stava crollando. E sono ospite. Un amico gentilissimo mi ospita. Da quasi due settimane. Io ho le chiavi di casa. Lui va via la mattina alle nove e torna la sera alle ventuno. Giuggiola, la mia gatta, si è ambientata quasi completamente. A pranzo mangio da solo. Ieri con quel terribile caldo volevo essere sbrigativo. Qualcosa da cucinare alla svelta. Cicireddu. Li ho visti dal pescivendolo. Freschissimo. “Sapi ancora di mari” mi diceva. Io pensai subito olio e limone. Gli do un bollore e li condisco con olio e limone. Dove sono ospite, c'è una piantina di prezzemolo. Una spruzzatina non ci sarebbe stata male.
La giornata è caldissima. Tutto sudato, dopo aver pagato il pesce, mi avvio verso casa. Lì almeno avrei trovato un poco di frescura. Mi sarei fatto una doccia. Avrei bollito il pesce. E dopo averlo condito con olio, limone e prezzemolo, ancora tiepido, lo avrei mangiato. Il sudore usciva copioso dalla mia testa. Qualche goccia mi entrò nell’occhio destro. Lo chiusi per il bruciore.
Comincio a cercare le chiavi nella borsa che mi porto dietro. Queste sono del negozio, queste di casa mia. E la macchinetta fotografica. E la cuffietta. E le chiavi? Non trovavo le chiavi della casa dove ero ospite. Niente, non ci sono. Non ci sono nelle tasche dei pantaloni. Poi mi affiora un dubbio. Ma questa mattina le ho preso o le ho lasciate sul tavolo della cucina? Era inutile ormai stabilire dove fossero. Io non potevo ritornare nella casa dove ero ospite. Ne parlo in negozio. Si offre di ospitarmi Eliseo. “Ho tutto a casa, ti puoi fare una doccia. L’asciugamano lo trovi nell’armadietto dentro il bagno. Ti puoi riposare sul mio letto. Io arrivo più tardi”.
Già tutto sudato fradicio mi avvio verso casa sua. Penso alla stranezza di un campanello di casa dove sta scritto “Raimondo”. E in quella casa nessuno si chiama Raimondo. Penso alle scale che dovrò salire quando arrivo davanti il portone. Quattro piani. Quattro lunghissimi piani. Oltre cento gradini. L’ultima rampa è il colpo finale. Arrivo davanti la porta con il cuore in gola. Sfinito e inzuppato di sudore. Attraverso la doppia porta prima di arrivare nell’appartamento di Eliseo. Il caldo all’interno è peggio di fuori. Accendo il ventilatore. Fisso fa un rumore simile ad una vaporiera, uuuuuuuuuuuu. Se si fa girare si aggiunge una specie di rumore di lamiera. Quindi, fisso. Uuuuuuuuu. E uuuuuuuuu. Alla fine fonde il cervello e non lo senti piùuuuuuuuuu.
Vado ad aprire il terrazzino per vedere di creare una corrente d’aria. Una zaffata di puzza di merda di cane mi si attacca addosso. Ritorno in cucina, metto sul fuoco un pentolino con dell’acqua e sale. Apro il frigo alla ricerca di un limone. Ma anche mezzo. Nulla. Come si fa spesso in questi casi, si chiude il frigo, poi lo si riapre e si ricontrolla. Qualcuno diceva che lo facciamo nella speranza che la seconda volta si troverà quello che non c’era nella prima ispezione. Sicuro che in frigo non ci sono limoni, comincio a guardare nei cestini, dove ci sono patate e cipolle. Nulla. Nell’angolo accanto al lavello. Nei posti più impensati. Per scoprire dopo tanta ricerca che un limone c’era. Tagliato a metà. Nel secchio della spazzatura. Decido: niente limone. Semplice, semplice. Solo olio. Trovo quattro bottiglie d’olio vuote. Butto il pesce nell’acqua. Preparo il piatto. Scolo i pesci. Con la “sculatura” delle quattro bottiglie arrivo a circa mezzo cucchiaio d’olio. Lo verso sui pesci. Basta e avanza. Buonissimi.
Sto finendo di mangiare quando rincasa Eliseo con Sally, la sua cagna. Chiacchieriamo sentenziando su questo o quello.
“Ma è una tisana?” gli dico indicando un barattolo.
“No, sminuzzaglie di erba”
“Della tua pianta?”
“Sì, alla fine rimangono foglioline spezzettate e qualche frammento di giummo”
“Posso?”
“Sì, sì”
Mi rollo la sigaretta. Dopo averla fumata decido di buttarmi sul letto di Eliseo. Sperando di poter riposare una mezz’ora. Appena disteso noto che la stanza da letto é molto più fresca dell’altra sala. Fresco e silenzio con il sottofondo del ventilatore. Uuuuuuuuuu. Con gli occhi chiusi pensavo a paesi esotici, un ventilatore a pale appeso al soffitto, tende che si agitano al venticello, una brocca d’acqua che trasuda. Mi stavo addormentando su queste scene tratte rigorosamente da film in bianco e nero. Quando:
“MINCHIAASPAGNACIFICIRUUNCULUACCUSSI’ ”
Non rende, anche se scritto così, il fastidio provato. Era arrivato il ragazzo che condivide l’appartamento con Eliseo. Con voce molto alta continua a descrivere quel cavolo di partita. Fortunatamente Eliseo era preso dal computer. Giochino? Scommesse? Qualcosa del genere. E non poteva distrarsi per commentare la partita. Tutto stava ritornando nella pace precedente. Cominciavo ad assaporare il cuscino, quando sento solleticarmi la pianta del piede destro. Penso fosse arrivata Stefania e si volesse far sentire. O Eliseo, per farmi uno scherzo. Apro gli occhi, guardo ai piedi del letto. Da lì vedo spuntare la bruna coda con la macchiolina bianca di Sally. Aveva trovato interessante leccarmi le piante dei piedi. Vistomi sveglio fece un tentativo di salire sul letto. Decisi di alzarmi ponendomi come metà un caffè al bar all’angolo della strada. Ma prima una doccia. Naturalmente dentro l’armadietto del bagno niente asciugamani. O meglio ce n'erano due piccolini. Dimensioni da mi asciugo le mani e lo vado a stendere. Accorre Eliseo porgendomi quello che non avevo trovato.
La doccia con la tendina su tre lati. Quella tendina, che appena scorre dell’acqua calda, tende ad attaccarsi al corpo. E ci si fa piccoli piccoli per evitare il contatto con la tendina. La bottiglia del bagnoschiuma sul piatto della doccia. Portava i segni di vari tentativi di far uscire ulteriore bagnoschiuma. Mi rivolgo alla saponetta sul lavandino. Grande quanto le palle di Mozart (famosi cioccolatini ). Mi sembrava troppo chiedergli di insaponarmi tutto. Cosi insaponai solo la faccia, le ascelle e i gioielli. Sempre cercando di evitare la tendina lascio scorrere l’acqua per sciacquarmi. Mi asciugo e alla fine scopro una cicca di gomma attaccata sull’asciugamani. Ero finito all’interno di un fumetto. Di quelli sporchi e cattivi. Dove la vittima ero io.
“Niente caffè, però ho della sambuca”.
Gli rispondo che va bene anche la sambuca. La versa in due tazzine da caffè. Continuavo a cercare di arrivare all’ultima pagina di quella strana storia. Fra un sorso e l’altro mi dice che me le vado cercando e mi piace fare la vittima.
“...quando invece il limone c’era. Anzi nel sacchetto della spazzatura c’era anche un limone mezzo muffito.”
“Ma, dici vero?”
“L’olio c’era pure. Vedi qui, nello scomparto dei detersivi, in questa bottiglia di plastica. Questo è olio”.
“Ma ne ho conferma ora”.
“Non ti piaceva quel limone? Ci potevi mettere dello zenzero”.
“Seee, come la sambuca nella salsiccia. Ma va…”
Alla fine l’uscita era la solita. Il portone dove su un campanello è scritto “Raimondo”. Da lì si esce da una storia a fumetti. Di quelli duri e cazzuti.Fra Zanardi e Bukowsky.