giovedì 7 gennaio 2010

Di cibo




Dov'è il sapore e l'odore dell'arte?
Di certo nel vedere e assaggiare l'ultima insalata preparata da Gauguin per Van Gogh. Ci sfugge quello che domani per altri sarà storia. Gauguin sosteneva che sapeva quando aveva finito un quadro così come sapeva quando l'insalata era pronta. Non apprezziamo l'arte e il cibo che oggi ci circondano e fuggiamo altrove. Lui fuggì nelle Isole Marchesi. Altri in quello che oggi definiscono i classici. Opere, artisti, cibo. O sultani. La chiamiano ricerca, rivisitizzazione o remake. Ma il latte caldo, appena munto, con la sua naturale schiuma, che bevevo da piccolo. Senza farlo bollire. Direttamente dal recipiente dove era stato munto. Nessun remake, nemmeno biodinamico, avrà più il potere di ritornarmelo. Amen. Ma si continua a mangiare.
Dei tre fratelli sono stato l'unico ad essere allevato con il latte in polvere. Farina di latte residuo dello sbarco americano in Sicilia. E arrivato fino a me. Disturbando il rapporto con il caldo seno di mia madre. Forse per questo successivamente ero affascinato dalle novità dell'industria alimentare. Freddo seno di metallo. Mi incuriosiva quella carne conservata in scatola. Un futurista dell'alimentazione. Industrie dove uomo e macchina diventavano uno. Confezioni da aprire e subito mangiare. Anche senza bisogno di scaldare. Cibo industriale. Disidratato, liofilizzato, condensato, precotto, confezionato in ambienti protetti. La trippa no, mi faceva troppo schifo. Tutta una scoperta, una comodità tutta moderna, una montagna di merda. Merda comoda e veloce. Che lascia un senso di mancanza, di assenza di anima. Sempre.
Sono passato successivamente alla scoperta del naturale, del macrobiotico. Una specie di rinascimento del cibo, una rivalutazione dei classici dando loro un senso e un proprio spirito vitale. Non ancora però a chilometro zero. Macrobiotica, riso integrale, pane fatto in casa con il lievito naturale. E lo yogurt fatto con quella specie di blob che cresceva continuamente. Che regalavi agli amici con un sottofondo di gusto sadico nella diffusione di quell'alieno. La riscoperta della campagna e musica orientale. La stitichezza.
Il cibo è come noi ci poniamo di fronte ad esso. Se siamo spinti da fame, gioco, dovere o lavoro. Aver la possibilità di guardare al cibo in modo diverso dalla necessità non è da tutti. Come non è da tutti giocare nella sua preparazione. Più un piatto è semplice più svela la vera capacità di chi cucina. Anche nel nome. Odio l'abbellimento artificioso di chi chiama chiama “vellutata di crema di patate” un semplice passato di patate.
Mia nonna chiamava insalata qualsiasi tipo di insalata. Comunque. Dalla quella semplice, lattuga olio limone e sale, a quella quasi barocca, con aringa affumicata, fettine sottilissime di limone, scalogno, finocchio e arance.
Adesso ho un approccio molto naif. Cerco lo sguardo da ingenuo, coltivo peperoncini e rosmarino. Adoro i colori forti e contrastanti. Il rosso dei pomodori, il giallo dei limoni, il verde del prezzemolo. Le insalate della nonna. Con le loro infinite varianti.
Chissa quali insalate si inventò Gauguin nelle Isole Marchesi?

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